"Non ho scelto il male né il bene, Ma attraverso e al di sopra del male, ho scelto la poesia" C. Baudelaire.



mercoledì 17 febbraio 2010

Perché Baudelaire?


Il fatto di essere una donna mi rende agli occhi di Baudelaire un essere "naturale" dunque "abominevole". In via del tutto eccezionale, la cosa non m'impedisce di provare un sentimento di simpatia per il poeta che, a detta di un bancale di critici più o meno autorevoli, può considerarsi come l'iniziatore della poesia moderna. 

Perché Baudelaire? 
Leggendo le sue poesie ci sono scivolata dentro, trasformando il mio studio in una sorta di percorso iniziatico. Ho scoperto  affinità elettive col suo pensiero, a partire da "Au lecteur" che è la porta d'ingresso per accedere nell'immenso edificio rappresentato da "Les Fleurs du Mal", un libro non una raccolta, come egli stesso ha più volte ribadito, che è portatore sano di una "terribile moralità", e anche questo l'ha affermato lui. Nella poesia-prologo l'autore si rivolge al suo lettore definendolo: "mon semblable, mon frère" ma anche "hypocrite lecteur". Eccomi allora, al netto del mio sesso, a viaggiare -consapevole ed ipocrita- in un mare (il suo elemento naturale preferito) di parole complesse, elevate, mai casuali (anche l'uso di una maiuscola piuttosto che una minuscola ha una precisa ragion d'essere nelle sue poesie) parole ambivalenti, a volte scientifiche, spesso bibliche. Ho viaggiato con gli occhi attraverso la lettura, e alla fatica ho cercato di crearmi  un senso in merito a messaggi provenienti dall'oltretomba, volutamente complessi, e a ciò si è aggiunta la fatica della traduzione, come un'elaborazione al quadrato. A volte ho preso a prestito delle traduzioni altrui, cosciente di quanto sia comodo, quindi sbagliato, ma anche inevitabile. Alla fine, interrogando ogni angolo di materia grigia a mia disposizione ho scoperto mete nuove, ho compiuto viaggi sensoriali -correspondances emotivi -à une passante, sensuali -Le serpent qui danse,  politico-sociali  -le cygne , francamente angoscianti: Spleen ... tanto per fare alcuni esempi... 

Non di rado, terminata la lettura, ho avvertito una specie di assuefazione, un senso di vuoto insopportabile che deriva forse dalla pesantezza dell'attimo che segue la scoperta o la rievocazione di qualcosa che galleggiava in una minuscola zona recondita della mente, senza che si osasse pronunciarla ad alta voce. Parlo ovviamente della coscienza pensata e sentita, di possedere una natura mortale e precaria, per quanto bellissima e viva.

 Théophile Gautier, al quale sia Flaubert che Baudelaire, hanno dedicato rispettivamente, Il romanzo ed Il libro poetico che segneranno una linea di confine fra quel che era e quel che sarà. Nb: Entrambe le opere sono state pubblicate e denunciate nel 1857, ed Arthur Rimbaud, poeta maledetto per antonomasia,  hanno sottolineato il fatto che, avendo Baudelaire scelto di trattare temi nuovi rispetto ai suoi contemporanei, avrebbe dovuto inventare un nuovo stile, usare nuove tecniche di scrittura e non limitarsi all'uso del tradizionale alessandrino o del sonetto, ma questo non toglie nulla alla grandezza di un' artista perseguitato dalla propria ispirazione, che presto venne percepita come "scandalosa", ovvero contraria al buongusto, o forse non-gusto borghese, suscettibile di offesa al minimo niente.
Il suo senso di frustrazione ed impotenza, Baudelaire l'ha sofferto fisicamente, somatizzando, se così si può dire. Difficoltà di respiro, malori e debolezza, fino ad un attacco di Afasia che lo riduce ad uno sguardo di penosa fissità per poi morire a soli 46 anni (anche se, la Sifilide, contratta con la prostituta Sarah, forse ha avuto un ruolo in tutto questo, ed anche le tare genetiche che sua madre gli ha trasmesso...).Non esiste un bel modo di ammalarsi, è evidente, ma una patologia connessa alla difficoltà e-o impossibilità di produzione/recezione del linguaggio è quanto di peggio possa succedere ad un uomo di lettere che ha fatto, come e più degli altri, della comunicazione una questione di vita e anche di morte; trattandosi di Baudelaire, direi che il fatto confina con la beffa e sfiora la metafora.

Come accade a molti santi e profeti, l'autore è stato denigrato ed ignorato in vita per poi essere venerato dopo la morte, riconosciuto all'improvviso come portatore di messaggi universali e sempre attuali.

Subito dopo la vita terrena di un autore, esistono tre categorie umane e commerciali capaci di garantirgli la sopravvivenza artistica o il più totale oblio, e queste sono: I lettori, le case editrici e naturalmente i critici. 
Baudelaire, coetaneo di Lamartine, Hugo, Flaubert, Gautier... in che capitolo "incastrarlo" nelle varie antologie? ...Romanticismo? Realismo? Poesia parnassiana? La risposta è nel Libro, nella sua opera critica. Scrivendo su Eugène Delacroix nel "Salon" del 1846, egli afferma che il romanticismo è una scuola moderna, ma non attribuisce all'arte una funzione "sociale" o civilizzatrice alla maniera di Mme de Staël, Hugo, Vigny o George Sand; dedica infatti il suo libro a Gautier, e sostiene che l'arte deve essere "inutile" (in linea con la sua posa Dandy: per definizione il contrario della fede borghese verso l'utile), pensa infatti che il solo miglioramento al quale l'uomo possa ambire sia di tipo morale, quindi individuale.

E.A. Poe.
Non ama il lirismo eccessivo e gratuito dei vari Lamartine o Musset. Per lui come per Poe, anima affine d'oltre oceano, l'arte nasce dal lavoro cosciente della mente oltre che dalla fantasia (virtù fondamentale perché ha permesso all'uomo di scoprire il senso della metafora), ma è contrario alla semplice "ispirazione" che arriva dall'alto e che i suoi coetanei romantici sono soliti invocare alla ricerca di una semplicistica e borghese soddisfazione personale. 
Fra i suoi autori preferiti del tempo compaiono Nerval, che ha scelto di dirigere il sogno piuttosto che di subirlo, Vigny e l'intransigenza della sua poesia dagli intenti filosofici, la sola ad osare tanto in epoca romantica, Chateaubriand e la sua prosa poetica, il tedesco Hoffmann che molti artisti della sua generazione amano. Questi riferimenti gli ispirano una Centralisation du moi tale per cui, Baudelaire è diventato, forse suo malgrado, il più lirico dei poeti romantici.
Circa il Realismo, affermò: "inventata la frottola bisognò crederci", e questo nonostante fosse amico di Champfleury, teorico della scuola realista. Secondo Baudelaire, il realismo è possibile solo in poesia, e non a caso la sezione "Tableaux Parisiens" è un vero e proprio spaccato di realismo della strada, oltre che la parte più complessa dei Fiori del male. Secondo Walter Benjamin, è proprio la sezione in questione che fa di lui un poeta della modernità.


Inchino inconsapevole di "Un passant" a Baudelaire!
La foto ovviamente  è la mia (...anche il libro!) 
Al netto di discorsi convenzionali, non va dimenticato che certe classificazioni servono più a chi studia che a chi crea. L' arte, quando è capace di attraversare secoli conservando tutta la sua attualità, prescinde evidentemente da ogni regola. Conviene quindi limitarsi ad apprezzarne il contenuto, condividendolo attraverso la lettura, non smettendo mai di porsi domande, perché questo è dopo tutto il senso ultimo dell'arte: interrogare lo spirito affinché non si assopisca o si lasci addomesticare. 

Ultima precisazione: Ci ho messo un po' per decidermi a creare un Blog da dedicare interamente a Baudelaire, questo per timore reverenziale verso un argomento così enorme ed interessante al contempo. Ci si sente  troppo piccoli rispetto all'ensemble, allo stesso tempo si ha voglia di mettersi alla prova, proprio per la grandezza dell'edificio che si intende raccontare. Mi attraggono i percorsi difficili perché da loro traggo stimolo ed insegnamento. L'altro motivo che mi spinge è l'impressione di vivere in una società aggressiva, enormemente infatuata del dio dell "Utile" e politicamente motivata ad uccidere le arti, una alla volta. So che posso farci poco, ma sarebbe un peccato se tutti noi perdessimo l'occasione di sfruttare un mezzo potente e comunicativo come Internet per condividere la nostra idea di arte, e precisare a sufficienza che a noi interessa ancora. 

Se fossi io stessa "arte", mi vestirei dei panni di uno degli uomini-libro di "Fahrenheit 451" di Truffaut (dall'omonimo libro di Ray Bradbury) i quali, riunitisi in una foresta, si erano scelti ognuno un testo da apprendere a memoria affinché non se ne perdesse memoria. Per l'occasione sceglierei Baudelaire e i suoi fiori malaticci, sperando di non arrecargli dispiacere per il mio essere...femme, donc naturelle. 

Revisione 30/04/2019

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