"Non ho scelto il male né il bene, Ma attraverso e al di sopra del male, ho scelto la poesia" C. Baudelaire.



martedì 8 luglio 2014

Baudelaire: Hugo? un imbecille | Cultura, PEM - Piazza Enciclopedia Magazine | Treccani, il portale del sapere

Baudelaire: Hugo? un imbecille | Cultura, PEM - Piazza Enciclopedia Magazine | Treccani, il portale del sapere

La foto è di Martina Volpe. (Via web) 

Ringrazio Giuseppe (follower di questo blog) per avermi inviato il link che funge da pretesto per un ennesimo post sul nostro amato poeta. Ancora grazie per aver ricordato qualcosa che ho scritto tempo fa a proposito della poesia "Il cigno" (link), ovvero che la stima del nostro per "l'immenso vecchio" non andasse presa per oro colato. 
In cima al post, trovate un link della Treccani, scritto da Valentina Gosetti, che conferma e rincara la dose, attraverso delle lettere private che Baudelaire scrisse ad un amico, definendo Hugo imbecille, e per certi versi, fastidioso. 

Mi sembra un articolo troppo severo.
-Baudelaire non era "amico" di Hugo, e già si sapeva, ma faceva parte della rete di coloro che in Francia, permettevano la circolazione le sue lettere nel periodo in cui era esule a Guernsay, isola con uno statuto giuridico particolare, situata fra Francia ed Inghilterra. Hugo era anche molto influente, ovvio, ed era naturale che i giovani artisti si rivolgessero (anche) a lui. Hugo dal canto suo, fu uno dei pochi ad accogliere in modo positivo I fiori del male, definendo il suo autore, portatore di "un frisson nouveau" nella poesia. 
Il cigno, così come I sette vecchi e le vecchiette, sono tre poesie inviategli a distanza di pochi mesi, e l'intento era di farsi scrivere una lettera-prefazione per una plaquette da lui composta, su T. D. Gautier. Nello scambio di lettere che hanno in questo frangente, Hugo precisa che alla massima: "L'arte per l'arte", preferisce quella di: "L'arte per il progresso", che è poi la differenza fra essere scrittori propriamente romantici, o scrittori parnassiani (i primi, convinti di poter cambiare il mondo intervenendo sulla società anche a livello politico -infatti Lamartine, Vigny, Hugo stesso, e per altri versi, George Sand... fanno parte anche della vita politica del paese- gli altri invece, sono coscienti di avere un ruolo marginale in un mondo dominato dal dio Denaro, cioè dalla borghesia, e dalla scienza, che irrompe con forza sempre maggiore, e dunque si danno al culto dell'arte fine a se stessa, almeno in quella fase storica). 
Al di là di questo, Il cigno, è una poesia molto importante che vede illustrati tanti personaggi, i quali convergono tutti verso una parola chiave che è: Esilio -e relative metafore- B. Parla infatti, nella lettera indirizzata ad Hugo, di un piccolo "simbolo" , e dice nella prima quartina della seconda parte numerata: "Tutto per me diventa allegoria", dunque è con questi occhi, che il testo andrebbe pensato. E non lo dico io, ma Giovanni Macchia. 

Qualche dato ulteriore: 
1859:  Nella vita del poeta succedono cose spiacevoli. Si trova con la madre in un paese fuori città, a Neuilly, presso il Bois de Boulogne (Di questo luogo parla in una bella poesia senza titolo: "Je n'ai pas oublié, voicine de la ville" XCIX sez II). La donna, vedova per la seconda volta (nel 1857, stesso anno dei fiori, Aupick muore) si allontana dalla città per lo scandalo legato al processo sulle poesie del figlio, il quale, come sempre quando si tratta di lei, vive sentimenti profondamente ambivalenti, in questo caso... di dispiacere. Deve lasciarla, e tornare a Parigi perché Jeanne Duval si è ammalata, ed ha bisogno di cure. Il fratello di lei pretende dei soldi dal poeta, e all'occasione gli vende i mobili e quel che può, pur di arraffare qualche soldo. Oppresso dai debiti, frustrato per la madre, e costretto ad occuparsi di Jeanne, per la seconda volta, subisce la tentazione del suicidio, e se la prima volta, tutto si risolse con la nascita "ufficiale" del poeta e del critico (Pubblica "à une dame crèole" su L'artiste, e inizia i suoi salons, testi critici sull'arte. Era il 1845), in questa ultima occasione, la tentazione di morte, coincise con la composizione di alcune delle poesie più belle del suo repertorio. 
Sempre nel 1959, Napoleone III concede ad Hugo la possibilità di tornare in patria, ma questi rifiuta, con gioia (politica...) di tanti, Baudelaire incluso, che per questo gli dedica "Il cigno". 

Le figure dominanti nella composizione sono: 
Hugo -dedica- esule a Guernsay, come ho appena detto.  
Il cigno -titolo- che vaga in cerca di un lago ormai bonificato, dunque perduto per sempre, in prossimità del vecchio carosello, vicino al Louvre, un museo nato con lo spirito dei lumi, che era quello di riunire il sapere del mondo nell'enciclopedia, o, come in questo caso, in un immenso stabile strutturato come un'enciclopedia vivente. Il museo è stato notevolmente abbellito nel tempo, anche grazie ai proventi delle varie conquiste coloniali francesi, che il poeta tratta con occhio critico, alludendo alla "negra", che si trova a Parigi per via del colonialismo, esule suo malgrado dalla terra natia.
Andromaca Figura letteraria di schiava ed esule ...  e poi altri personaggi, per finire con un pensiero del poeta verso chiunque abbia perso qualcosa che non tornerà più... incluso se stesso, perché tutti nella Parigi di Napoleone III, radicalmente trasformata dai lavori del barone Haussman, si sentono nel mezzo di un grandissimo cantiere che deforma tratti secolari della città, e fa sentire tutti un po' esuli, anche se in terra propria. Dunque, in barba alla dedica del libro a Gautier (arte per l'arte, dunque distacco dal mondo politico), ed in barba anche alle lettere che scrisse nel privato, questa rimane una splendida poesia, praticamente attuale, se pensiamo all'immenso cantiere che ancora ci avvolge ed al senso di impossibilità di fare presa sulla storia che tutti noi, da diversi anni ormai, sentiamo fortemente. 

Altra grande novità, la "memoria" non la affida alla natura, come avrebbe fatto Lamartine in Le lac, o qualsiasi altro romantico, ma alla poesia! -tutto succede nella sua mente!-

-Tornando all'articolo, si basa su lettere scritte in privato, da qualcuno che non poteva avere coscienza che alla fine sarebbe diventato quello che oggi è a livello mondiale, né che avremmo frugato fra le sue cose!  
-Si tratta di lettere che hanno lo spirito di certe nostre mail arrabbiate per chissà cosa. Quanto al giudizio dunque, non sarei troppo severa, perché succede quasi a tutti e qui parliamo di uno che aveva qualche motivo in più per avercela col mondo: 
-Gli è stato imposto un curatore per la gestione del suo patrimonio pur non essendo né minorenne, né malato di mente. Una grave umiliazione.
-Ha vissuto l'insofferenza di un patrigno molto autoritario, ed il suo contrario quanto a "credo".
E' stato maltrattato: 
-dalla legge (Flaubert, pochi mesi prima, subisce un processo per oltraggio alla morale, in Mme Bovary, ma la spunta con lo stesso istruttore Pinard, perché i soldi fanno la differenza, e permettono avvocati migliori)
-dalla critica.
-dal suo secolo e anche da questo; ho letto di studiosi che si stanno adoperando per dimostrare che "I fiori del male" li avrebbe scritti Nerval, l'autore di: "Le figlie del fuoco". La tesi di questi detrattori è che i fiori, siano finiti in mano a Baudelaire per una fortunata mano a carte, roba da menargli!
-Ha somatizzato (?) alcune di queste frustrazioni, ed è morto male male!...insomma, gli concedo il diritto all'astio che io avrei avuto al suo posto.  

L'articolo sottolinea l'aspetto "ipocrita" di colui che scrisse -ironia- un'intera cattedrale per onorare un sentimento storicamente nuovo, come la noia! Venuto al mondo nel Regno Unito e diventato "splen-ne", cioè francesizzato da Denis Diderot, e poi ripreso, da René De Chateaubriand, a inizio secolo, col nome di: "Ennui", per il suo personaggio eponimo, ed anche da altri se vogliamo. Gli eroi romantici hanno tutti a che fare con una specie di depressione in corso. Una depressione di massa, un senso di impotenza sulla storia dei popoli, ma anche individuale. Nascono opere dal respiro epico a inizio secolo. Muoiono tutti di qualcosa di ineluttabile i nostri eroi. 

Baudelaire presenta delle novità rispetto a molti dei suoi (noti) artisti coetanei. 
-La prima, è che è "solo" un poeta, non un romanziere, né un uomo di teatro, e dello spleen farà poesia; Lo stesso vale per Balzac con "La commedia umana" che farà del romanzo, un genere degno come gli altri, nel quale tutta la sua arte e vita, confluiranno. Prima di lui, il romanzo era un genere minore, i giovani ambivano tutti al teatro. Lo stesso Hugo si impose a teatro contro i classici, perché quella era la loro roccaforte, e vinse!
-La seconda, che permette la prima... coglie la forza di questo nuovo sentire, la sua modernità, e gli dedica un libro.  
-La terza... un libro, non una raccolta, come era tipico ai tempi! (Scrive a Vigny, direttore dell'Accademia Francese, per la seconda edizione dei fiori, e chiede che almeno questo gli venga riconosciuto). Dove sta la differenza fra una raccolta ed un libro? Una raccolta è come un album di fotografie messe su a caso. Un libro è un album ragionato. Ogni composizione si basta da sola, prova ne è, che il libro è sopravvissuto a diverse censure ed aggiunte (Nella seconda edizione aggiunge anche una sezione "Tableaux parisiens", oggi definita la più importate); ma l'insieme delle poesie, genera una complessa rete di interconnessioni tematico-strutturali, che ne fanno pura novità. (Qualcosa di simile in narrativa, accadde in zona Joyce, per "Dubliners", nel 1914.) 
"Tu mi hai dato fango, ed io ne ho fatto poesia" 
Scrive Baudelaire in un progetto di prefazione per la seconda edizione, indirizzandosi alla città. Egli comprende che il fango di Parigi (non i soliti gigli, ciclamini, boschi, giardini, musei e belle pose di bella gente) scivolando tra le dita di un poeta sotto forma di parole dettate dalla mente, non dalla pioggia di romantica ispirazione che coglie qualsiasi passante, può diventare poesia, (Vedi "Paysage", la prima della II sezione, in cui parla di versi scritti con la finestra chiusa, e la testa rivolta allo scrittoio: 
Non alzerò la fronte dal leggio
perché sarò immerso in questa voluttà
di evocare la primavera con la volontà
di tirare fuori un sole dal mio cuore, e di fare
dei miei pensieri ardenti una tiepida atmosfera! 
ultimi versi della poesia. 
Presa coscienza dei suoi intenti, si investe del medievale lavoro dell'alchimista, e produce versi per "l'ipocrita lettore, mio simile, mio fratello" (Au lecteur - Link). 
Pubblica I fiori del male, con Auguste Poulet-Malassis, uno che stampava libretti licenziosi (antenati dei nostri moderni ...porno) e a volte di scarso valore, sicché rimane il dubbio sul fatto che questo lettore ipocrita di Au lecteur, fosse rivolto al lettore tipo di questa casa editrice, o al lettore in senso lato. Penso che valga la seconda, e il corpus poetico nel suo insieme, lo dimostra. 
Un altro dettaglio da non dimenticare, prima di partire col processo alle intenzioni, è che Charles Baudelaire era cosciente del suo genio. Dopo il processo del 1857, sapeva, come Stendhal, di scrivere "To the happy few" (questa la dedica dello scrittore su: "La certosa di Parma"). 
Il poeta si definisce nella poesia "L'héautontimorouménos" (Sez I): 
Ne suis-je pas un faux accord
dans la divine symphonie,
grâce à la vorace Ironie (Maiuscola: Personificazione)
Qui me secue et qui me mord? 
(Vs 12/16) 
Dunque: "Non sono forse un falso accordo nella divina sinfonia, grazie alla vorace Ironia, che mi scuote e mi morde?" 
...
Je suis de mon coeur le vampire
-un de ces grands abandonnés, 
au rire éternel condamnés,
et qui ne peuvent plus sourire!  
(vs 25/28)
...e anche: "Sono del mio cuore il vampiro, uno di quei grandi abbandonati, che non possono sorridere (solo ridere)"
Dice anche di essere la piaga ed il coltello, lo schiaffo e la guancia, le membra e la ruota (tortura), la vittima ed il carnefice. Come non pensare al futuro "L'homme qui rit" di (... il caso?) Victor Hugo! Uno squarcio condannava anche Gwynplaine all'eterno sorriso (antenato del più recente "il corvo" fumetto/film, o prima di lui Joker di "Batman" e così via.) 

"Coscienza" è la parola chiave, e anche "ironia", ma ai confini col sarcasmo racchiusa in quel "sourire" che egli subisce, come una condanna. E' appena il caso di ricordare come muore. Paralisi, con gravi sintomi di afasia. Sei mesi di autentica agonia, e poi il nulla. L'afasia è un disturbo celebrale, ai danni della sfera del linguaggio (capirlo, o produrlo). Singolare se uno ci pensa. Oggi qualcuno non mancherebbe di parlare di "somatizzazione estrema". Di fatto, sua madre morì della stessa morte, e un suo fratello lo precedette di poco, morendo di emorragia celebrale. Una questione genetica? O forse incise la sifilide contratta da ragazzo con la prostituta Sara? (Anche Maupassant ebbe questa malattia, e poi impazzì, ma forse è un caso.) Poco importa, ma era per sottolineare che il "voltafaccia" era stato pestato ingiustissimamente, e per più di un giorno, un mese, un anno... Che altro? 
Un autore come Alfred de Musset, "enfant terrible" della letteratura francese (oggi serenamente definito "minore") veniva adorato dai grandi del secolo, Hugo incluso, ma lui era diverso da Baudelaire. Strafottente e poco interessato a quelle lodi, non fosse altro che perché non se le dovette mai sudare (fu eletto all'Accademia Francese e non è cosa per tutti. In nostro fu respinto!). Si prese anche la libertà di litigare con Hugo, accadde negli anni trenta, e tornarono a parlare nel '43. 
L'amico e celebre critico Sainte-Beuve, sembrò aver capito il genio di Baudelaire, ma si guardò bene dall'esporsi per lui. Solo qualcosa, ma senza impegno. Questo il commento del critico (il caso vuole...amante della moglie di Hugo! Tanto che si lasciarono per causa sua) per difendere l'amico dalle accuse del '57:
"Tutto era già stato preso nel campo della poesia. Lamartine aveva preso i cieli, Hugo aveva preso la terra e più che la terra, Laprade aveva preso la foresta. Musset aveva preso la passione e l'orgia splendente. Altri avevano preso il focolare, la vita rustica ecc. Gautier aveva preso la Spagna e i suoi forti colori. Cosa restava? Quello che Baudelaire ha preso. Vi è stato come costretto"  e sarà sempre lui a parlare di "La folie Baudelaire" (che poi è diventato il titolo di un libro scritto a Roberto Calasso - link) 
Valéry ribadisce in altre parole, la stessa cosa, ovvero: Baudelaire è cosciente di essere un grande poeta, ma di non essere né Lamartine, né Hugo, né Musset, pertanto fu quasi costretto ad opporsi al sistema, ovvero al romanticismo. 
Lo stesso B. fa eco a S. Beuve ed a Valéry in uno dei progetti di prefazione: "Poeti illustri si erano spartiti da un pezzo le province più floride della poesia. Mi è parso piacevole e ancora più gradevole per la difficoltà dell'impresa, di estrarre la bellezza dal male" 
Colesanti, a tal proposito, conclude che Baudelaire oggi si trova al centro di tutte le scuole del suo tempo, perché tutte le comprende, quello che lui non poteva intuire, è che gli "Happy few" nel tempo, sarebbero esponenzialmente aumentati, dandogli il ruolo che gli spetta nel panorama culturale dell' XIX secolo. In linea col Satana miltoniano, fu di quei diavoli che perse il paradiso e ne sentì l'amarezza. 





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