...Una nuova edizione, tradotta da Romano Palatroni.
La prossima novità Gwynplaine (Marchio editoriale Dakota Press) |
Segnalo l'uscita di un'edizione di Fiori in lingua italiana, tradotta dal marchigiano Romano Palatroni.
Il libro è del 1959, ed è stato pubblicato postumo, due anni dopo la morte del traduttore.
Il libro è del 1959, ed è stato pubblicato postumo, due anni dopo la morte del traduttore.
A cinquantasei anni dalla prima pubblicazione, Gwynplaine edizioni (Camerano -AN-) casa editrice indipendente, rinnova l'appuntamento coi lettori del poeta "maledetto" per antonomasia, riproponendo"I fiori del male" tradotto in uno stile che rispecchia il tempo in cui il lavoro è stato realizzato. Il curatore dell'opera è Antonio Prenna, la prefazione è stata scritta da Davide Rondoni. Il libro contiene anche un'intervista ad Umberto Piersanti. Infine, la bellissima illustrazione di copertina, è di Cecilia Tantucci.
Orlando Micucci, che è a capo della Gwynplaine, oltre che mio amico, si è sentito attratto dall'idea di svolgere un'operazione culturale tout court, e quindi si è impegnato a divulgare una versione dei Fiori scritta da un signore che viveva ad Osimo, vicino Camerano, la cui storia è stata puntualmente raccontata dal curatore, Antonio Prenna.
Tradurre è un po' riscrivere, perché per neutri che si rimanga, c'è sempre qualcosa di personale nel risultato finale, e lì sta la sfida e anche il timore, immagino. Lo stesso Baudelaire, folgorato da Edgar Allan Poe, si occupò a lungo di tradurre le sue opere in Francia, introducendo così in Europa l'autore di poesie come "The raven" -il corvo- e racconti come "il gatto nero", passando per le sue riflessioni critiche. Mallarmé, anni dopo, seguì le orme di Baudelaire, scrivendo in principio poesie con titoli uguali ai suoi, ma anche traducendo a sua volta E.A.Poe, ed il confronto fra i due mostra l'evoluzione del secondo sulla via di un ermetismo che, in quanto tale, si voleva "difficile" da decifrare, tanto che spesso, leggendo Mallarmé, si ha l'impressione di dover tradurre due volte ogni singola parola: dal francese all'italiano, e poi dal simbolo che ogni termine contiene, al concreto. Penso a "ses pures ongles" (Le sue unghia pure), storia di un lutto, con termini tipo "pthyx", che fanno parte di un ideoletto, cioè un linguaggio che è solo suo (come capirlo senza un "dizionario" in grado di "tradurre" il significato di un termine che, paradossalmente, neppure esiste?).
Tradurre non è solo una questione letteraria o testuale in genere, ma accade ogni volta che si comunica. Penso a Joyce che studiò la lingua di Ibsen così da potergli esprimere gratitudine per la portata innovativa del suo teatro. Penso anche ad un articolo per lo meno fantasioso letto qualche tempo fa, secondo il quale, Baudelaire avrebbe vinto I fiori in una fortunata mano a carte con l'amico Nerval, che è tutto un dire... tuttavia, costui sta studiando, scavando negli archivi e, a modo suo, sta riscrivendo per l'ennesima volta, una storia fin troppo travagliata, nel tentativo di screditare fino all'ultima virgola, un poeta che già in vita dovette subire svariati atti di arroganza.
Baudelaire, quant à lui...
Tradurre non è solo una questione letteraria o testuale in genere, ma accade ogni volta che si comunica. Penso a Joyce che studiò la lingua di Ibsen così da potergli esprimere gratitudine per la portata innovativa del suo teatro. Penso anche ad un articolo per lo meno fantasioso letto qualche tempo fa, secondo il quale, Baudelaire avrebbe vinto I fiori in una fortunata mano a carte con l'amico Nerval, che è tutto un dire... tuttavia, costui sta studiando, scavando negli archivi e, a modo suo, sta riscrivendo per l'ennesima volta, una storia fin troppo travagliata, nel tentativo di screditare fino all'ultima virgola, un poeta che già in vita dovette subire svariati atti di arroganza.
Baudelaire, quant à lui...
-dati sparsi-
Baudelaire ha scelto nelle vesti di poeta, il mestiere dell'alchimista.
"Tu m'as donné ta boue, je n'ai fait de l'or" scrive in un progetto di epilogo per la seconda edizione dei Fiori, nel 1861. Che significa? L'alchimista è un lontano antenato del chimico, del fisico, dell'astrologo, e anche del medico, quindi il poeta decide di praticare mestieri del passato remoto, in un periodo in cui le scienze avanzano velocemente, e con esse il "progresso", inteso sempre più in senso economico e criticato da Baudelaire, che in quest'ottica sceglie la "religione" del Dandy, e relativo culto dell'INutile, da opporre al "dieu de l'Utile" che implacabile e sereno avvolge i bambini in pannolini di bronzo... fortissima metafora della materia che trasforma la persona, e la contorce [ Poesia V: J'aime le souvenir de ces époques nues], con la stessa logica, assistiamo al risveglio del "Travail" nella poesia Il cigno, fra le più apprezzate e note, per complessità e ricchezza tematica. Ho evidenziato le lettere "U" di utile, e "T" di travail, perché si trovano così nel testo, e perché la maiuscola serve a fare allegoria del termine, quindi a personificarlo. "Tutto per me diventa allegoria". Qualcuno vede nella metafora dei pannolini di bronzo, il mestiere dello scrittore che, attraverso la poesia, filtra i dati del reale nella sua mente, e li "contorce", li modifica, in base alle sue esigenze creative, dunque non un'arte "realista" che si limita a riproporre ciò che vede, non un'arte "romantica", frutto di ispirazione piovuta dal cielo, ma una poesia che tante volte i critici, hanno avuto la tentazione di definire moderna, ovvero situata in una linea di confine fra passato e futuro, fra sonetto e verso libero, fra raccolta poetica e libro custode di una "terribile moralità".
Perché il mondo va a rotoli?
Rousseau, attribuisce ogni responsabilità alla società ed esalta la natura, che invece è purezza.
Balzac pensa che sia l'interesse personale la causa del male moderno, e anche lui, praticamente coetaneo di Baudelaire, deve affrontare il cambiamento radicale e definitivo della città e dei meccanismi che muovono la società sotto Napoleone III.
"Paris change!Mais rien dans ma mélancolie/n'à bougé! Palais neufs, échafaudages, blocs/vieux faubourgs, tout pour moi devient allégorie/et mes chers souvenirs sont plus lourds que des rocs"
-Il cigno II parte vs 29/32
Ovvero:
Parigi cambia! ma nulla nella mia malinconia (sentimento moderno) è cambiato! Palazzi nuovi, impalcature, massi, vecchi sobborghi, tutto per me diventa allegoria, e i miei cari ricordi sono più pesanti delle rocce.
Parigi cambia! ma nulla nella mia malinconia (sentimento moderno) è cambiato! Palazzi nuovi, impalcature, massi, vecchi sobborghi, tutto per me diventa allegoria, e i miei cari ricordi sono più pesanti delle rocce.
Romanzi come L'Assommoir (L'ammazzatoio) 1877 di E.Zola avrebbero raccontato le vite fantasma di masse di lavoratori inghiottiti dai cantieri la mattina, e restituiti al buio delle strade e delle cantine la sera, dove un sinistro alambicco produceva sostanze alcoliche che li avrebbe storditi e resi simili a bestie. Sesso ed alcol sono dopotutto il solo lusso dei poveri, e il suo è un approccio "naturalista", come la scuola da lui fondata, e quindi l'autore è attento a rendere un'idea sociale, politica, quasi visionaria, a dispetto del pretesto di mantenersi fedele ai documenti che lo ispirano. Ho citato questo romanzo, perché si parla dei lavori edili parigini ai tempi del barone Haussmann, e Baudelaire parla dello stesso argomento, anche se, in questo caso, allude a lavori di bonifica in zona Louvre, mentre Zola racconta di rue de la Goutte d'or, in zona Montmartre.
La città cambia, ci sono infatti i lavori in corso. I blocchi, le impalcature acquistano con Baudelaire il diritto di cittadinanza in una poesia che ha toni estremamente "alti" e nobili. "Il cigno" è infatti un animale nobile, costretto però a vivere in un serraglio che, per quanto sia d'oro è pur sempre una galera. Esso evoca il "cigno di Mantova" che è Virgilio, autore dell'Eneide, da cui il riferimento ad Andromaca, nota anche per la fama teatrale di Racine, gloria nazionale del secolo che precede i Fiori.
Anche Victor Hugo è una figura letteraria nobile, oltre che reale. Esule a Guernsay per via di un decreto di espulsione da parte di Napoleone III, nel 1859 -anno della composizione poetica- potrebbe tornare in Francia se lo volesse, ma rifiuta sprezzante. Da ciò, il pretesto per scrivere la poesia, da parte del poeta. La dedica sulle prime sembra scollegata al resto, invece è funzionale a tutto un discorso che volge a nobilitare l'esilio, inteso -anche- come estraniamento, e poi il dolore e la malinconia, sentimenti moderni, romantici, e anche ... i lavori in corso, che sono un segno tangibile della modernità, intuibile anche dalle nuove architetture, dai sontuosi boulevard che oggi fanno la gioia dell'occhio del turista, ma allora servivano ad impedire attacchi nemici a Napoleone, ed erano volti a "firmare" la città che mai avrebbe dimenticato il nome dell'imperatore, impresso in ogni pietra, che Hugo, sprezzante, aveva definito nei primi anni di esilio: "Napoléon le petit", in rapporto al suo predecessore.
Cigno-Hugo-Andromaca: Esuli, sofferenti, nobili. In effetti, la morale ultima sembra essere che la sofferenza nobilita chi la vive (come già aveva detto nella poesia Bénediction, la prima di Spleen e Idéal) e non solo Hugo, Andromaca, il cigno, la negra, ma tutti si sentono esuli in Francia da quando Napoleone III si è preso il potere e trasforma la città a sua immagine. Con lui, chiaramente, il maggior capo d'accusa è rivolto alla borghesia, forza economica, con poco gusto estetico. "Voi siete la maggioranza, ma occorre che impariate a sentire la bellezza", scrive su l'artiste verso gli anni quaranta.
Questa poesia, così come tutta la sezione II dal titolo "Tableaux parisiens" porta critici come Walter Benjamin, ma anche Baudelaire stesso, a parlare di poesia della "modernità". Il poeta quasi se ne scusa, perché sa che l'impatto sui suoi coetanei, romantici, quindi bendisposti verso il lago, la vegetazione, i nobili sentimenti, potrebbero non capire le sue intenzioni. "Ipocrita lettore-mio simile-mio fratello!" così conclude la poesia Au lecteur, nella quale chiede al "candido lettore" romantico di togliersi la maschera e di guardarsi dentro, per dare il nome esatto alle cose.
La quartina sopra citata sembra rispondere ad Alphonse de Lamartine, autore di: "Meditazioni poetiche" che nel 1820, cioè un anno prima della nascita di Baudelaire, introduce ufficialmente il romanticismo nella poesia francese, per via del suo incredibile successo. Nella nota elegia "Le lac", egli scrive: O lago! Rocce mute! grotte! foreste oscure! voi che il tempo risparmia o che può ringiovanire/custodite di questa notte, custodite bella natura, almeno il ricordo"
Baudelaire ricorda e sottolinea che esiste un fenomeno crescente di urbanizzazione, tale per cui "voi che il tempo risparmia" non è molto esatto. "Paris Change!" infatti, ed è impossibile ormai fingere che non stia succedendo. E' stato notato che vicino al lago di cui parla Lamartine, c'era uno stabilimento balneare turistico, di cui il poeta ha preferito non fare menzione, forse perché avrebbe tolto efficacia al ruolo della natura, più forte dell'uomo ed invariabile nei secoli. Baudelaire parla di calcinacci, blocchi e in sintesi, pone la mente e nello specifico, la creazione poetica, nella condizione di essere unica possibile custode della memoria: "tutto per me diventa allegoria, e i miei cari ricordi sono più pesanti delle rocce" Le stesse rocce alle quali Lamartine chiedeva di custodire il ricordo del suo amore.
La natura è fonte di massima ispirazione per i romantici, spesso personifica sentimenti e stati d'animo, e il solo contemplarla, basta a far nascere la tanto osannata "ispirazione poetica" che cade dall'alto. Baudelaire, come Poe, come Balzac e ancora di più Flaubert, pensa che l'arte debba nascere da un lavoro intellettuale, lucido e razionale sul verso, quindi rinnegare la natura, è un modo come un altro per sottolineare il passaggio epocale dal romanticismo al Parnasse, la famosa tendenza poetica nata nella seconda metà dell'ottocento, e dedita al culto dell'arte per l'arte, massima che Hugo aveva coniato parlando di T.D. Gautier, al quale I fiori del male sono dedicati:
"Al poeta impeccabile,
al perfetto mago delle lettere francesi,
al mio carissimo e veneratissimo
maestro e amico
Théophile de Gautier
con i sentimenti
della più profonda umiltà,
dedico
questi fiori malaticci"
Allo stesso modo, nella poesia "Rêve parisien" -sogno parigino- che chiude la sezione II, l'autore parla di una realtà urbana nella quale "Par un caprice singulier/J'avais banni de ces spectacles/le végetal irrégulier", quindi non solo la natura non conserva la memoria, ma va cancellata e riscritta, seguendo il mestiere antico dell'alchimia. Tu, Parigi, mi dai il tuo fango, il tuo lato oscuro, ed io, poeta, ne ho fatto poesia, ho trasformato la materia in versi, ho fatto nascere fiori (bellezza) dal male, che è sempre esistito, quindi occorre rendersi coscienti, esplorarne le estremità.
Il fine ultimo di questo libro, che per rispetto al poeta, mai chiameremo "raccolta", ma sempre e solo "libro", è di renderci forse più cinici, ma più onesti con noi stessi. Pronti infine a guardare il lato oscuro, per cogliere da esso una "terribile moralità", ovvero ciò che Le figaro, e poco dopo l'istruttore Pinard (passato alla storia per aver processato Mme Bovary e poi I fiori del male a distanza di qualche mese) non hanno saputo cogliere, giudicando il libro in base a banali regole di convenzionale costume borghese.
Perché il mondo va a rotoli? Ci chiedevamo. Perché negare il male significa perpetrarlo, secondo Baudelaire, convinto che il solo progresso possibile, sia di tipo morale, dunque individuale, e non economico/borghese. Per questo cita il peccato originale, che è il momento della "caduta", da uno stato di primaria perfezione, verso uno stato in cui bene e male sono diventati parte inscindibile di ognuno di noi. E' stato anche notato che, a dispetto della incessante terminologia cattolica, sembra strano elogiare tanto Dio, senza mai citare Cristo, e limitandosi a parlare di Satana..."che culla a lungo il nostro spirito incantato, e il ricco metallo della nostra volontà è tutto svaporato da questo sapiente chimico" -au lecteur- poesia prologo. Anche Satana dunque, come il poeta, si occupa di trasformare cose. A lui spetta il mestiere del chimico, parente a quello dell'alchimista, anche se egli opera nello spirito delle persone, uno spirito debole e pigro che non compie omicidi e stupri solo per pigrizia, non perché non ne abbia desiderio:
"Se stupro, veleno, pugnale ed incendio/non hanno ancora ricamato con segni piacevoli/di pietosi destini il banale canovaccio/è che l'anima nostra, haimé! non è troppo ardita" -Au lecteur- vs 29/32
L'uomo moderno, oltre ai sette peccati capitali, è alle prese con un nuovo mostro, moderno, che è "l'ennui", la noia, con un occhio carico di lacrime involontarie, capace di ingoiare il mondo con la forza di un solo sbadiglio. (Questa parte della poesia sarà citata anche da Eliot in "the waste land" 1922 ) e la poesia finisce indirizzandosi al lettore: Tu lo conosci, lettore, questo mostro delicato -ipocrita lettore- mio simile- mio fratello!
L'ipocrita lettore è chiamato a sostituire il "candido lettore", affezionato ai versi del primo ottocento romantico, pronto a fidarsi ciecamente del poeta, e della sua visione sublimata del mondo. Illustrare il male, affinché si desideri, per reazione il bene. Questo il senso della "terribile moralità" di cui Baudelaire parla a Vigny, in una lettera. Perché "libro"? A differenza dei vari Lamartine, Hugo, Vigny, Musset eccetera, Baudelaire realizza un'architettura, ovvero un insieme di poesie perfettamente autonome se lette singolarmente, ma capaci di instaurare una fitta rete di interconnessioni, se lette in sequenza, e anche per questo, I fiori del male è un libro moderno, scritto con uno stile tradizionale, fatto di alessandrini, di sonetti, e Rimbaud, che, se pure gli riconosce il genio, gli rimprovera l'uso della "forma meschina", perché chi parla una nuova lingua, deve farlo con codici nuovi. Vero anche che Baudelaire come Flaubert, sono forse gli ultimi autori dell'ottocento che mischiano uno stile più tradizionale, a contenuti che di fatto, gettano le basi per un'opera moderna.
"Se stupro, veleno, pugnale ed incendio/non hanno ancora ricamato con segni piacevoli/di pietosi destini il banale canovaccio/è che l'anima nostra, haimé! non è troppo ardita" -Au lecteur- vs 29/32
L'uomo moderno, oltre ai sette peccati capitali, è alle prese con un nuovo mostro, moderno, che è "l'ennui", la noia, con un occhio carico di lacrime involontarie, capace di ingoiare il mondo con la forza di un solo sbadiglio. (Questa parte della poesia sarà citata anche da Eliot in "the waste land" 1922 ) e la poesia finisce indirizzandosi al lettore: Tu lo conosci, lettore, questo mostro delicato -ipocrita lettore- mio simile- mio fratello!
L'ipocrita lettore è chiamato a sostituire il "candido lettore", affezionato ai versi del primo ottocento romantico, pronto a fidarsi ciecamente del poeta, e della sua visione sublimata del mondo. Illustrare il male, affinché si desideri, per reazione il bene. Questo il senso della "terribile moralità" di cui Baudelaire parla a Vigny, in una lettera. Perché "libro"? A differenza dei vari Lamartine, Hugo, Vigny, Musset eccetera, Baudelaire realizza un'architettura, ovvero un insieme di poesie perfettamente autonome se lette singolarmente, ma capaci di instaurare una fitta rete di interconnessioni, se lette in sequenza, e anche per questo, I fiori del male è un libro moderno, scritto con uno stile tradizionale, fatto di alessandrini, di sonetti, e Rimbaud, che, se pure gli riconosce il genio, gli rimprovera l'uso della "forma meschina", perché chi parla una nuova lingua, deve farlo con codici nuovi. Vero anche che Baudelaire come Flaubert, sono forse gli ultimi autori dell'ottocento che mischiano uno stile più tradizionale, a contenuti che di fatto, gettano le basi per un'opera moderna.
@@@
Ho voluto scrivere di getto, praticamente "a memoria" per una volta, cercando di seguire una linea di pensiero generica sull'autore. Ricordo però che esiste una mole impressionante di letture critiche dedicate a Charles Baudelaire, e lo stesso vale per il numero di traduzioni, fra le quali, vista l'occasione, dal 9 luglio 2015 potremo consultare anche quella di Romano Palatroni, un marchigiano che ha scelto un suo specifico codice linguistico per familiarizzare con la lingua madre del poeta, e trasformarlo in quanto di più simile alla sua idea di linguaggio poetico in italia, in quel periodo. Diciamo che il senso del blog consiste nell'ennesima "Invitation au voyage" e anche alla lettura di Baudelaire e suoi affezionati.
Nessun commento:
Posta un commento